Come sta cambiando il giardino mediterraneo?

giardino mediterraneo (4)
2 Marzo 2020

Viaggiando spesso lungo il litorale italiano e francese mi sono accorto di quanto il paesaggio del giardino mediterraneo stia cambiando.

Introducendo sempre più specie esotiche cambiamo via via la percezione dei nostri giardini, quasi senza accorgecene. Questo ci fa riflettere su come stia cambiando lo stile del giardino mediterraneo. Una categoria, questa, non proprio ben definita se non per il fatto che la vegetazione è prevalentemente mediterranea: olivi, lecci, sughere, cipressi, ma anche fillirea, mirto, corbezzolo, palma nana, teucrio, ecc. Tutte specie che crescono bene con estati aride e piogge concentrate prima e dopo l’inverno, spesso molto mite, caratteristiche di un clima, appunto, mediterraneo. Certo, ormai da alcuni secoli, nei nostri giardini mediterranei son state introdotte per il gusto dell’esotico, una miriade di palme, Phoenix dactylifera e canariensis, Washingtonia filifera e robusta, Trachycarpus fortunei, ecc.

Molti sono gli esempi di paesaggi “colonizzati” da questo gusto, basti pensare a Villa Hambury a Ventimiglia e tante altre ville in Liguria o nel Sud Italia così come è avvenuto in Francia. La stessa cosa è avvenuta anche per alberi ed arbusti come per i bellissimi Ficus macrophylla siciliani che provengono dall’Australia, o lo Schinus molle, il Pittosporum tobira e la Cycas revoluta, rispettivamente provenienti dal Sud America, lo Schinus, e dal Giappone le altre, che appaiono ormai quasi “naturali” nel nostro paesaggio.

La globalizzazione porta nuovi arrivi

Non sembri quindi strano che anche la recente globalizzazione ed i cambiamenti climatici favoriscano la moda dell’esotico continuando a farci importare nuove specie, come è stato fatto per secoli, dalle molte regioni a clima mediterraneo che si trovano al mondo ( vedi anche “Piante esotiche e paesaggio: quanto è “naturale” il nostro paesaggio?”) .

In realtà infatti questo clima non è solo caratteristico del “Mare nostrum” ma anche di altri territori: California, Cile, Argentina, sud Africa, Australia e persino Nuova Zelanda, solo per fare alcuni esempi. Luoghi dove, tra l’altro, si producono ottimi vini proprio perché anche la vite predilige il clima mediterraneo!

Da un pò di tempo e quasi senza accorgecene, sono arrivate quindi specie che continuano a modificare sempre più il nostro giardino. Araucaria heterophylla, Westringia fruticosa, Kniphofia spp., Acca sellowiana, palme sub tropicali come Syagrus romanzoffiana, Phoenix roebelenii, ecc. , sono alberi, arbusti ed erbacee che provengono da ogni parte del mondo.

Villa Durazzo Pallavicini -Santa Margerita Ligure
Molti palmeti misti con Cycas a Villa Durazzo Pallavicini -Santa Margerita Ligure
Villa Salviati a Firenze
Laghetto di un giardino storico (Villa Salviati a Firenze) invaso dal Fior di Loto (Nelumbo nucifera) una pianta che può essere infestante nei nostri climi.

In città neppure le persone sono autoctone, perché dovrebbero esserlo le piante?

La domanda che mi faccio è quindi se dobbiamo, ammesso che sia possibile, opporci a questa “invasione”, oppure lasciare che la natura faccia il suo corso. Premesso che il giardino è sempre stato il luogo del bello e della sperimentazione del bello (basti pensare al giardino dell’Eden), e quindi della moda, temo che sia impossibile opporsi a questa trasformazione del nostro gusto e del nostro paesaggio. In fondo nessuno pensa più al fatto che il pittosporo e la camelia provengano dal Giappone, la Westringia dall’Australia e l’ Acca (Feijoa) sellowiana dal sud America. Anzi alcune specie sono già entrate di diritto nella storia del giardino italiano: i giardini con le palme, quelli ottocenteschi pervasi dalle camelie o i giardini meridionali ricchi di agrumi.

Dopo un pò di anni mi sono convinto che le piante esotiche hanno ogni diritto di arrivare, farsi notare da noialtri paesaggisti e appassionati di piante e trovare spazio nei nostri giardini. Soprattutto nei giardini urbani dove peraltro abbiamo già pesantemente alterato il clima, perchè non usare la specie più bella e più funzionale per quel luogo? Perché insistere con le specie autoctone che magari non sono neanche in grado di resistere alle temperature ed alla siccità degli asfalti cittadini?

In città non c’è più nulla di originario: non lo è l’asfalto ma neppure il cemento o le enormi vetrate di case ed uffici o i pappagalli che hanno colonizzato molte delle nostre metropoli del centro sud. Neppure noi cittadini siamo autoctoni allora perchè insistere con le piante? Altra domanda che ci facciamo allora è: ma queste trasformazioni poi cambieranno anche la nostra cultura come l’ha cambiata l’arrivo del pomodoro dalle americhe senza il quale non avremmo lo spaghetto o la pizza? Ma la cambierà in meglio, ricchezza, diversità e complessità sono valori importanti di un sistema ecologico e culle.

Viva le esotiche, abbasso le invasive!

Il mio amico Stefano Mancuso nel suo bel libro “L’incredibile viaggio delle piante”, Laterza 2018 , scrive che alle piante invasive non dobbiamo opporci. Stefano pensa che niente potrà ostacolare la colonizzazione di ailanto, robinia o piante simili che nel nostro ecosistema sono più forti delle specie native. Quindi tanto vale arrendersi: le “invasive di oggi saranno le native di domani”, conclude.

Non sono d’accordo, proprio perché queste piante invasive, anche se in grado di offrirci alcuni importanti servizi , contribuiscono alla lunga ad una semplificazione dell’ ecosistema e quindi ad una perdita di valore ambientale , estetico e culturale. Basti pensare ad una siepe sempreverde monospecifica rispetto alla stessa realizzata con più specie sempreverdi che arricchiscono in tessitura, tonalità di verde, profumi, habitat, ecc.

Ficus macrophylla – Orto botanico di Palermo (
Ficus macrophylla – Orto botanico di Palermo (Foto S. Mancuso)

Cambiamenti e conservazione

A fronte del cambiamento di specie allora cosa rimane del giardino mediterraneo? La voglia di esplorare e conoscere ha da sempre connotato il nostro paese portandoci a contatto con altri popoli che ci hanno arricchito da un punto di vista culturale e stilistico. Questa è sicuramente la strada da perseguire anche in futuro: sperimentare. Nel giardino mediterraneo credo che il mantenimento di una connotazione legata al clima aiuti a mantenerne alcuni aspetti caratteristici: i colori grigi o grigiastri saranno sempre presenti così come la presenza abbondante delle sempreverdi.

Certo è che la sostituzione di alcuni elementi focali del giardino (una grande Araucaria è molto diversa da una grande sughera!) altereranno la nostra concezione di questo spazio. Penso comunque che per mantenere l’identità del giardino mediterraneo italiano la strada giusta sia quella di continuare a realizzare un giardino disegnato, in linea con con gli stilemi culturali e paesaggistici che abbiamo ereditato ma utilizzando tutta la palette di specie vegetali che la Natura intera ci ha messo a disposizione.

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