Sostenibilità! A che piano sta?

28 Maggio 2021

Non è recente, nel campo dell’architettura come in altri, il tema della sostenibilità e limitandoci agli ultimi anni possiamo osservare vari progetti che vengono presentati come modelli di uno sviluppo “green oriented”. Questi progetti pur dichiarandosi sostenibili vanno spesso in direzioni formalmente opposte, fatto che può essere dettato da una esigenza legata al territorio ma forse anche dal gusto del momento. Sorge quindi una domanda ironica: piante sopra gli edifici o edifici sotto le piante? Cerchiamo un punto di incontro… su altri piani.

Opposti

 

“… per ogni su
C’è sempre un giù!
Per ogni men
C’è sempre un …?
Più
Più?
Si più …”

Così cantavano Merlino e Semola, tramutati in animali, nuotando e saltando nella foresta. Anche se qua non siamo in un cartone Disney c’è sempre qualcuno che cerca di fare magie ma più che magie prosperose, come trasformare un ragazzino in un Re, ne provano del tipo ingannevole, come lucidare una mela rossa dopo averla imbevuta di sonnifero.
In queste righe vorremmo provare a stimolare una riflessione non specificamente legata al paesaggio ma che lo comprende in una forma più ampia. Proviamo a cercare senza la pretesa di trovare risposte precise, a farci domande con la certezza di trovarne altre. 

Il Bosco Verticale a firma dell’architetto Stefano Boeri (Milano, 25 novembre 1956) sul quale a suo tempo questo blog si era fatto alcune domande, e le case ipogee di Peter Vetsch (Sax, 14 marzo 1943), pioniere di questo tipo di architettura, sono due esempi che per la loro particolarità si adatto perfettamente a quanto vogliamo esporre.

bosco verticale, boeri, milano
Bosco Verticale, Stefano Boeri Architetti, Milano
Peter Vetsch, Earth House, Switzerland

Sostenibilità a che piano sta

Su questo tipo di imprese non è possibile formulare un parere indiscutibile, non hanno avuto il tempo di esprimersi, di maturare e “dare frutto”. Insomma sono relativamente troppo “giovani” per rappresentare lo spirito di un movimento ed essere prese veramente a modello per una riproposizione in altre realtà a meno che questa non si limiti a un’operazione che assecondi la tendenza del momento.

Sembra banale dire che queste realizzazioni sono la rivisitazione di qualcosa di precedente ma può essere che un osservatore ignaro della materia non se ne renda conto e giustamente ne rimanga affascinato perché senza dubbio sono dei capolavori della tecnica. Lo sviluppo in fondo è questo, prendere qualcosa che esiste e reinterpretarlo, renderlo attuale e migliorarlo, guardare all’essenza di ciò che è stato realizzato in passato riportandola nel contemporaneo in modo sempre più intelligente.

Tornando alla filastrocca di Merlino, che è lo spunto della nostra riflessione, vogliamo evidenziare che i due esempi citati, oltre ad essere accomunati dallo strettissimo dialogo dell’artificio con la natura, sono diametralmente opposti nello sviluppo costruttivo, uno cerca l’elevazione al cielo l’altro punta a penetrare la terra.
Come dicevamo, a primo impatto, queste opere suscitano in chi le osserva stupore e ammirazione ma non evitano di lasciare una scia di perplessità, come di recente si legge in un articolo pubblicato su il Fatto Quotidiano dedicato proprio al verde grattacielo milanese.

Un punto di incontro

Questa riflessione parte contrapponendo un grattacielo a una casa interrata, ma non vuole arrivare a dire che la soluzione sia optare per un’architettura più tradizionale. Non vuole “fare la media”. “In medio stat virtus” dicevano i latini facendo eco alla “Via di Mezzo”, un concetto orientale più attinente all’equilibrio che al compromesso.
Il punto è fare ricorso alle nostre capacità più virtuose per evolverci, per portare quello sviluppo che, come abbiamo scritto prima, ci migliora, senza però dimenticare di considerare gli aspetti più profondi oltre a quelli superficiali.

Il palazzo più alto, la casa più verde, il giardino più moderno, sono espressioni di una ricerca di espansione tipica dell’uomo portata su un livello materiale. La voglia di benessere è naturale e auspicabile per tutti, l’inquinamento planetario e l’ecologia sono temi attuali. Pensare e progettare architetture connesse alle piante è un approccio indubbiamente positivo ma puntare alla realizzazione dell’edificio più eco-sostenibile spesso rischia di ridursi solo a un record personale del progettista o degli investitori.

Facciamo pace con la natura

Le case sopraelevate, come le palafitte, o quelle interrate, come le pit-house, sono esperienza dei nostri antenati. Esse rispondevano a determinate situazioni ambientali ed erano funzionali al contesto in cui sorgevano. Erano espressione di quando l’uomo ancora non aveva del tutto perso il contatto con l’ambiente e vi si adattava più di adattare questo a se. Forse è qua che nascono le perplessità. Queste architetture moderne cercano veramente un dialogo o simboleggiano ancora la lotta tra Uomo e Natura?

Oltre alle domande su costi e benefici questi simboli ci portano a riconsiderare il nostro punto di vista sulla natura, quasi ci costringono a farlo. Alla luce di queste considerazioni il dialogo più che stretto appare forzato se pensiamo che per alcune persone è difficile immaginarsi di avere un albero sul terrazzo quando ancora non sopportano le foglie cadute sul vialetto, per non parlare degli insetti che vengono attratti dai fiori sui balconi.

Il piano della sostenibilità

Non ci dilunghiamo elencando gli enormi benefici che si hanno dallo “stare nel verde”, esistono tantissimi testi su questo argomento. Il mondo vegetale può insegnarci tanto anche con poco, basta una passeggiata in campagna o fare esperienza con un orto in giardino.
La riscoperta della natura passa necessariamente attraverso l’accettazione delle sue forme ed espressioni. Solo in questo modo la sostenibilità può liberarsi dai confini dei dati su efficienza e risparmio di risorse, cioè una sostenibilità per la materia, e aprirsi a un rapporto più intimo con la persona, una sostenibilità per lo spirito.

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